IMU – ABITAZIONI PRINCIPALI DEI CONIUGI Prospettive di rimborso per i contribuenti, alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale

di Vincenzo Pollastrini

Corte Costituzionale, sentenza 13.10.2022, n.209

Le disposizioni in materia di IMU, nell’interpretazione dei Comuni e (in parte) della Corte di Cassazione, impedivano ai coniugi con residenze differenti (non legalmente separati) di usufruire del beneficio (esenzione per le abitazioni principali diverse dalle categorie A/1, A/8, A/9, altrimenti aliquota ridotta stabilita dal Comune)  

A seconda delle situazioni, dei tempi, e dei Comuni interessati l’agevolazione era negata ad entrambi i coniugi, o concessa soltanto ad uno dei due

Quest’ultima casistica (concessione ad uno dei due coniugi) era stata peraltro codificata a fine 2021 (art.1, comma 741, lettera b, Legge n.160/2019, come modificato dall’art.5-decies, comma 1, D.L. n.146/2021)

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni in oggetto, aprendo così la strada a possibili richieste di rimborso, da parte dei contribuenti che si fossero attenuti all’interpretazione fornita dai Comuni (nessuna agevolazione, o agevolazione in capo ad un solo coniuge, in caso di scissione del nucleo familiare)

CONDIZIONI PER L’ESENZIONE (CORTE COSTITUZIONALE)

Non è più necessario che le due condizioni necessarie (residenza anagrafica e dimora abituale) si verifichino in capo all’intero nucleo familiare. 

Il possessore dell’abitazione principale può usufruire dell’esenzione se dimora abitualmente e risiede anagraficamente nell’immobile, anche se il coniuge dimora abitualmente o risiede anagraficamente altrove.  

Addirittura, l’esenzione spetta ad entrambi i coniugi, se ciascuno di essi è proprietario di un’abitazione in cui risiede anagraficamente e dimora abitualmente. Es. il marito è proprietario di un’abitazione in cui risiede anagraficamente e dimora abitualmente nella città X; la moglie è proprietaria di un’abitazione in cui risiede anagraficamente e dimora abitualmente (nella stessa città X del marito, o in altra città Y). Entrambi, ciascuno per la propria abitazione, possono usufruire dell’esenzione, che riguarda le abitazioni di categoria catastale diversa da A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville), A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi storici o artistici). Per le categorie A/1, A/8, A/9 si applica invece l’aliquota ridotta deliberata dal Comune. 

La Corte Costituzionale ha così eliminato la disparità di trattamento rispetto alle coppie di fatto, che hanno sempre potuto godere del beneficio senza limitazioni.

L’agevolazione è estesa alle pertinenze (C/2, C/6, C/7, al massimo una unità per categoria), anche se iscritte in catasto unitamente all’abitazione. Naturalmente il vincolo pertinenziale della destinazione, in modo durevole, a servizio od ornamento dell’abitazione, deve essere dimostrato.  

Attenzione: non basta la residenza anagrafica (situazione oggettiva in quanto comprovata dalle risultanze anagrafiche del Comune), occorre anche la dimora abituale. In altri termini, la sentenza rende giustizia alle innumerevoli situazioni in cui il nucleo familiare si scinde per le più svariate ragioni (lavoro, scelta personale, salute, assistenza a familiari, ecc.), senza che tali ragioni debbano essere necessariamente enunciate, ma non è un via libera per agevolare immobili in cui il possessore non dimora abitualmente (es. casa per le vacanze). 

I Comuni presumibilmente adotteranno tutte le accortezze necessarie per accertare il tributo in capo a chi, pur risiedendo in un determinato immobile, non vi dimori abitualmente. Verranno esaminate le banche dati relative alle utenze (elettricità, acqua, gas, telefono, connessioni informatiche), lasciando spazio alla fantasia per ulteriori verifiche (es. pedaggi autostradali, luogo in cui esercita il medico di famiglia, ecc.).

Anche per le famiglie di fatto si applica la stessa disciplina. 

La dirompente sentenza della Corte Costituzionale esplica i suoi effetti per il futuro, ed in parte anche per il passato.

PER IL FUTURO

A decorrere dal saldo del tributo per il 2022, in scadenza il prossimo 16 dicembre, si potrà già tenere conto di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale.

Chi può legittimamente usufruire del beneficio, pur avendo già versato il primo acconto a giugno (pagando l’imposta anche su abitazioni principali in cui non risiede l’intero nucleo familiare), può ora tenere conto della sentenza, e dell’esenzione che ne consegue, nel calcolo del saldo da versare entro il 16 dicembre. 

Pensiamo ad esempio al caso più frequente di esenzione totale (perché si tratta di abitazione principale diversa da A/1, A/8, A/9). 

Il contribuente che possiede soltanto l’abitazione principale, ed ha pagato l’acconto di giugno, può evitare di pagare il saldo di dicembre e chiedere a rimborso l’acconto pagato a giugno

Il contribuente che possiede anche altri immobili, dal saldo di dicembre (dovuto per questi altri immobili) può scomputare (osservando le relative regole) la parte di acconto di giugno indebitamente pagata (perché riferita all’abitazione principale), chiedendo il rimborso per l’eventuale eccedenza.

Occorre sempre verificare con attenzione la sussistenza di tutti i requisiti, e conservare la documentazione probatoria (es. pagamenti delle utenze).

PER IL PASSATO

Si profilano diverse casistiche, tenendo presente che la sentenza della Corte Costituzionale ha efficacia retroattiva (nei termini e con i limiti che seguono).

Contribuente che ha pagato l’IMU, attenendosi alle norme che la Corte ha ora dichiarato illegittime: potrà richiedere il rimborso di quanto illegittimamente versato, entro cinque anni da ciascun versamento (IMU, e TASI per gli anni in cui era prevista).  

Contribuente che ha pagato l’IMU con ravvedimento operoso, allineandosi alle norme che la Corte ha ora dichiarato illegittime: è certamente ipotizzabile una richiesta di rimborso per il tributo, entro cinque anni da ciascun versamento. La questione è tuttavia controversa sotto alcuni profili (in particolare per quanto riguarda le sanzioni da ravvedimento). 

Casi precedenti, ma con riferimento a pagamenti per i quali sono trascorsi più di cinque anni: si può tentare la strada del rimborso, sostenendo che i cinque anni per la richiesta decorrano dalla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale, e non dal pagamento. Si tratta però, almeno ad oggi, di tesi minoritaria, che potrebbe essere respinta dal Comune o (con aggravio di spese) in sede contenziosa.

Contribuente che a suo tempo ha ricevuto un accertamento e non ha presentato ricorso nei termini di legge (pagando o attendendo le procedure esecutive): difficilmente si potrà ottenere il rimborso di quanto pagato, o lo sgravio di quanto resta da pagare, in quanto l’accertamento non impugnato nei termini è definitivo. Il contribuente può chiedere rimborso o sgravio per via di autotutela, ma appare arduo ad oggi ritenere che, in caso di diniego, sia possibile attivare un contenzioso contro il Comune con esiti positivi.

Contribuente che a suo tempo ha ricevuto un accertamento, ed ha presentato ricorso che è stato respinto con sentenza definitiva (passata in giudicato): la definitività della sentenza di rigetto impedisce il rimborso o lo sgravio. 

Contribuente che ha un contenzioso in corso: con l’assistenza del proprio difensore potrà far valere in giudizio la sentenza della Corte Costituzionale.

Contribuente che ha ricevuto un accertamento per il quale pendono i termini per presentare ricorso: è possibile ottenere l’annullamento per via di autotutela, con istanza presentata al Comune. Ma l’autotutela non sospende i termini per ricorrere (60 giorni dalla notifica), decorsi i quali, contro un eventuale diniego del Comune non vi sarebbero rimedi. Pertanto, in caso di autotutela proposta senza esito, è necessario incardinare rituale ricorso prima dello spirare dei 60 giorni dalla notifica dell’accertamento.

Una volta presentata domanda di rimborso, il Comune nei 180 giorni concessi dalla normativa potrebbe accoglierla e disporre di conseguenza. 

D’altro canto (a seconda delle situazioni) è anche ipotizzabile un diniego espresso o tacito. In entrambi i casi di diniego il contribuente può instaurare un procedimento contenzioso, ponendo la massima attenzione ai termini per impugnare il diniego (oltre i quali il rimborso sarebbe irrimediabilmente perso).

Si consiglia di reperire e conservare la documentazione di supporto per dimostrare l’effettiva dimora abituale. Se infatti, in sede di opposizione agli accertamenti da parte del Comune, è l’ente stesso a dover provare la fondatezza della pretesa impositiva, nei giudizi di rimborso è di norma il contribuente a dover provare la sussistenza dei requisiti di residenza e dimora abituale.

CONCLUSIONE

La questione dei rimborsi è particolarmente delicata, vista la possibilità che non tutto si risolva con una semplice richiesta. In alcune ipotesi potrebbe essere necessario instaurare un procedimento di natura contenziosa, presso la competente Corte di Giustizia Tributaria. La presenza di regole specifiche, termini di decadenza (e prescrizione), spese di giudizio, unita alla complessità della procedura, rende necessaria l’assistenza da parte del proprio professionista di fiducia.

Si raccomanda la tempestività necessaria per evitare la decadenza dei termini.

I clienti interessati potranno contattare lo Studio, sia per una valutazione preventiva della situazione, sia per l’eventuale assistenza nella fase contenziosa, tenendo conto della tempistica sopra enunciata. 

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